Ho sempre avuto un debole per tutto ciò che riguarda la fotografia di famiglia, o meglio, le fotografie di famiglia. Non intendo solo quelle scattate da un fotografo, ma proprio quelle di proprietà della famiglia.
In casa dei miei genitori, c’è un mobile, vicino all’ingresso. Dentro a quel mobile, c’è tutto un ripiano pieno di scatti di tutta la famiglia. Vacanze al mare, giornate di Natale, mattine di Santa Lucia, giochi in giardino e molto altro.
Come diceva il compianto Robin Williams in One Hour Photo (assolutamente da vedere in caso non l’abbiate visto): quando una casa va a fuoco, qual è la prima cosa che si mette in salvo, dopo che gli animali e i familiari sono al sicuro? Le foto di famiglia.
Tutto il resto – più o meno – lo puoi ricostruire o ricomprare. Le fotografie invece no.
Ancora una volta, la fotografia si trova a testimoniare un tempo che non tornerà.
Penso che la fotografia di famiglia racchiuda al suo interno un nucleo semplicemente perfetto. Fotograficamente parlando, contiene l’espressione emotivamente pura del reportage, raccontando i momenti più importanti della storia delle famiglie stesse.
Quando vedo certe fotografie, è sempre un colpo al cuore.
C’è ad esempio una fotografia in cui io e mio fratello siamo sul tappeto della sala di casa a giocare. Probabilmente è il giorno di Santa Lucia, o forse una mattina di natale.
Caspita, quando la vedo, rievoco alla perfezione quell’insieme di sensazioni indescrivibili. Ricordo l’emozione di ricevere i regali, ricordo l’odore dei giocattoli nuovi e quello delle polverose setole del tappeto su cui ho passato alcuni degli anni più spensierati della mia vita.
In un’altra fotografia, sono al mare, forse in Sicilia, fra mio padre, ancora magro e giovane, e mia madre, bella e abbronzata. Mio padre ha in testa un cappello di paglia per proteggersi dal fortissimo sole del sud e mia madre un vestito a fiori. E ce l’ho in mente, il profumo della crema solare e la sensazione della sabbia nelle ciabatte di plastica.
Cosa devo dirvi, io solo a pensarci mi commuovo. E sarò eternamente grato, di tutti quei ricordi. Sono grato del tempo del rullino e delle macchinette Kodak usa e getta.
Quindi, quando ho iniziato a ragionare, da professionista, riguardo alla fotografia di famiglia, ho avuto l’esigenze di trovare un modo di raccontare davvero le famiglie.
Intendiamoci, apprezzo la classica fotografia di ritratto in studio con tutta la famiglia, ma non l’ho mai trovata particolarmente nelle mie corde.
Mi sono detto, perché non offrire alle famiglie, qualcosa di simile? Perché non mettere una qualità fotografica professionale, al servizio di questo concetto e della fotografia di famiglia?
Vi faccio un esempio. Quella che vedete è una fotografia che ho scattato a Massimo e al suo piccolo Alessio.
Lo scatto mi piace anzi, personalmente è una fotografia che amo. Ma l’obiettivo non deve essere questo. Di quello che piace o non piace al fotografo, poco deve interessare alle persone.
O meglio, se non mi piacesse quello che scatto, non avrei senso critico ed estetico, ma quello che guida questo tipo di fotografia, non è non deve essere la mia soddisfazione.
Io vorrei che nel futuro, magari quando Alessio avrà trent’anni e i capelli di Massimo saranno grigi, questa fotografia possa diventare uno strumento. Un modo per riportare il papà al profumo della pelle del suo bambino, le sue mani morbide e quei momenti unici. Spero che diventi un modo attraverso il quale Alessio potrà invece ricordarsi della sensazione di quella felpa, magari dimenticata, della sensazione di averla addosso, della barba ispida del papà. Magari gli verrà in mente anche il profumo di sapone del bagno e “quelle piastrelle che poi abbiamo cambiato”.
Il periodo in cui i figli sono piccoli, rimane qualcosa di indelebile, indimenticabile e non c’è certo bisogno di una fotografia per non dimenticare quel tempo.
Ma penso che la nostra esperienza quotidiana, non sia caratterizzata poi dalle grandi cose, ma da quelle piccole, dai dettagli.
Io so che non ricordo i viaggi con i miei genitori, ma ricordo alla perfezione la trama del tessuto dei sedili del camper, tanto che potrei disegnarla.
A volte non ricordo alla perfezione la mia casa d’infanzia, ma quanto è vero se vi dico che oggi ho una fitta allo stomaco se sento lo stesso identico odore della cantina.
Così come magari non si ha ben a fuoco un nonno che non c’è più, ma si ricordano i suoi occhiali, le sue mani. Perfettamente.
E’ questo che vale la pena raccontare. Raccontare le persone in mezzo a tutti quei piccoli grandi dettagli che hanno l’immenso potere di riportarci in tempi e luoghi che pensavamo di avere perso.
Questo per me è la fotografia di famiglia. Per me, a dire il vero, non c’è altro modo di fare fotografia di famiglia.
Lo so, lo so, sarebbe bello che io pubblicassi anche qualche scatto di quelli di cui ho parlato. Ma non ce la faccio, è qualcosa di talmente prezioso che preferisco che resti dove è stato fino ad oggi.
Se vi accontentate, qui potete trovare qualche altra fotografia di famiglia.
Se siete curiosi o volete chiedermi qualcosa, non esitate a contattarmi!